La grande famiglia delle Moto Guzzi V7, con le sue quattro versioni pure: V7 700, V7 Special, V7 Sport e V7 850GT, l’allestimento California e le sue versioni derivate: S, S3, T, T3, è stata concepita tra il 1959 ed il 1975. In questi anni, precisamente alla fine del 1959, l’ingegner Giulio Cesare Carcano, storico progettista del Reparto Corse e colui che creò molte delle Moto Guzzi da Gran Premio, realizzò, in completa autonomia, un potente motore bicilindrico a V di 90°, che diventò l’invincibile capostipite di una lunghissima progenie di due cilindri, che ancora oggi ogni modello di Moto Guzzi sfoggia con grande baldanza. In questa sede cercheremo di raccontare al meglio tutta la storia di queste incredibili bicilindriche, dividendola in due puntate: una la state leggendo ora e, la seconda sarà online tra una settimana esatta.
La V7 fu presentata ufficialmente, nel 1965, al Salone del Ciclo e Motociclo di Milano, in un contesto commerciale non facile per la Moto Guzzi; la casa di Mandello sul Lario, infatti, risentì molto delle sfortunate operazioni economiche operate dai Parodi, storici proprietari del Marchio. In seguito, la situazione si risolleverà solamente grazie alla gestione SEIMM. Molto successo ebbe la V7, soprattutto nelle sue versioni Special e Sport: le sue doti erano infatti la grande affidabilità, la resistenza e la potenza. La V7 Special, in particolare, all’epoca aveva come rivali: la Bmw R75/5, sicuramente più blasonata, rifinita, ma meno tetragona della nostra moto nazionale; la Bsa Lightning, molto elegante, ma alquanto ed irrimediabilmente delicata, come tutte le britanniche. La V7 Sport, invece, vedeva come proprie antagoniste le nipponiche: Honda CB 750 Four, Kawasaki 750 H2, Suzuki 750 GT, molto veloci, scintillanti, accessoriate, ma, rispetto alla Moto Guzzi Sport, molto meno affidabili in generale e nelle curve in particolare: infatti la Sport era dotata di un telaio progettato e costruito dall’ingegner Lino Tonti – ex Benelli, Aermacchi, Bianchi e Gilera – che reagiva ottimamente anche alle alte velocità.
La V7, in listino fino al 1975, nelle sue varie versioni ed allestimenti, è oggi considerata un cult: una moto che fu progettata essenzialmente per durare nel tempo e per non sfigurare nemmeno rispetto alle moto più moderne. Nel giugno e nell’ottobre del 1969, sulla pista d’alta velocità di Monza, la V7 stabilì numerosi record mondiali delle classi 750 e 1000 cc; il motore era derivato da quello della Special e fu affidato alla bravura dei piloti Vittorio Brambilla, Alberto Pagani, Patrignani, Bertarelli, Tenconi, Trabalzini e Venturi. Questo bolide da competizione erogava 68 CV a 6500 giri, con compressione di 9,6:1; i carburatori erano i leggendari Dell’Orto SSI da 38 mm; il cambio rimaneva di serie a 4 velocità, con rapporto modificato alla coppia finale. Per poter aumentare la velocità di punta la moto fu alleggerita e, togliendo parecchi accessori, arrivò a pesare solamente 158 Kg, compresa la carena in vetroresina ed il capiente serbatoio in lega leggera da 29 litri. I risultati raggiunti furono i 100 Km alla media di 218,426 Km/h, l’Ora a 217,040 Km/h ed i 1000 Km a 205,932 Km/h. Visti i record raggiunti dai due prototipi e viste inoltre le numerose richieste della clientela sportiva, la Moto Guzzi lanciò sul mercato, nel 1971, la prima versione di serie della V7 Sport, montata a mano presso il Reparto esperienze Moto Guzzi. La moto sfoggiava un telaio in cromo-molibdeno rosso, livrea verde metallizzata, con parafanghi cromati: era bellissima, sportiva e soprattutto molto potente e veloce.
1965: LA V7 700
Questa motocicletta era dotata di un motore semplificato rispetto al prototipo del bicilindrico di Carcano, che originariamente avrebbe dovuto avere un uso puramente automobilistico. Tale massiccio motore, pesante 92 Kg compreso di blocco trasmissione, era dotato di un unico albero a camme al centro della V dei due cilindri; la distribuzione era ad aste e bilancieri, molto robusta e duratura e l’albero motore in acciaio in un unico pezzo. I due imponenti cilindri erano in lega leggera ed avevano una particolarità, apparsa per la prima volta in ambito motociclistico: le canne cromate. Le valvole erano inclinate di 70°, i due carburatori Dell’Orto SSI da 29 mm e l’accensione a spinterogeno. La frizione era a doppio disco a secco ed il cambio a quattro rapporti azionato da una leva a bilanciere sulla destra del propulsore, la trasmissione finale, invece, ad albero cardanico.
I collaudi del prototipo della V7 700 iniziarono nel 1964. Lo scheletro di tal modello primordiale era un telaio a doppia culla chiusa in tubi d’acciaio, forcella anteriore teleidraulica a steli rovesciati e forcellone posteriore oscillante per mezzo di un doppio ammortizzatore idraulico a molla esterna cromata regolabile su 3 posizioni, che la rendevano sicuramente molto morbida e confortevole; i freni a tamburo misuravano 220 mm ed avevano la doppia camma anteriore e la singola posteriore. Il peso della V7, 230 Kg, era decisamente elevato rispetto alla media delle altre motociclette, ma ciò faceva intendere quanto questo mezzo fosse robusto e soprattutto affidabile, soprattutto se si pensa che la sua velocità di punta toccava i 160 Km/h.
1969: LA V7 SPECIAL
La V7 700 rimase in produzione fino al 1969 quando passò il testimone alla celeberrima V7 Special: sicuramente il modello più rappresentativo negli anni in cui la Moto Guzzi passò alla gestione SEIMM. Fu proprio la motocicletta che servì per rilanciare il Marchio italiano dopo la già accennata crisi interna. La Special venne progettata da Lino Tonti e dal Reparto esperienze con motore di 757,4 cc e le differenze rispetto alla 700 cc non furono copiose, ma significative. Sicuramente le più lampanti sono quelle cromatiche: la V7 Special aveva, infatti, una sola livrea bianca con il dorso del serbatoio nero, i filetti rossi e le svasature cromate del serbatoio – ora di forma diversa data la maggiore capacità – all’altezza delle ginocchia; una delle più importanti differenze, se non la più importante, a parte l’aumento di cilindrata, consisteva nei carburatori che erano sempre Dell’Orto, ma VHB a valvola piatta da 29 mm muniti di leva dell’aria. Altri miglioramenti, visto anche l’incremento della potenza, furono: l’adozione di un rinforzo del telaio nella zona del cannotto di sterzo e l’irrigidimento della forcella, sicuramente più prestazionale e sicura nel misto. La strumentazione era sicuramente più completa, perché dotata anche di un contagiri, del quale la 700 era mancante; mentre il motorino di avviamento si azionava non più girando solamente la chiave nel cruscotto, ma spostandola solo per creare contatto elettrico, dovendo poi comunque premere il pulsante della messa in moto, sito sulla destra del manubrio in posizione molto riparata, ma molto agevole per il fortunato centauro.
Gli accessori forniti dalla Casa Madre erano molteplici: il grande cupolone in vetroresina in tinta con il colore della moto, che la rendeva sicuramente più imponente di quanto già non fosse; il paracolpi posteriore cromato, utilissimo al passeggero per poggiarvi i piedi, sia per questioni di sicurezza in caso di incidente; le borse laterali di due tipi, entrambe in ferro complete del loro telaio cromato di fissaggio alla moto, relativamente capienti ed infine, per le versioni militari, la sirena. La Special era definita anche mucca, per via del colore della livrea che ricordava le mucche di razza Frisona bianche e nere anch’esse. La facilità di guida era una delle peculiarità della mucca di Mandello, il comfort e la maneggevolezza erano doti che le venivano direttamente dalla sella molto ampia e dalle sospensioni soffici, che avevano però il grande limite delle curve, ma solo se affrontate con imperizia o con guida molto sportiva a velocità elevata. Quando si guidava su una Special sembrava di essere seduti su un comodo motore che, possente, poteva soddisfare in ogni situazione, anche nelle asperità delle strade malmesse. Per la prima volta la Moto Guzzi riuscì ad esportare, proprio a seguito di molteplici richieste civili e commesse militari, questa solidissima e veloce motocicletta, denominata però Ambassador e California, fino a Los Angeles – dov’era utilizzata dalla polizia – passando da alcune Nazioni europee. Era una vera maximoto da granturismo, utile, pratica ed indistruttibile, capace di macinare migliaia di chilometri.
Autore: Pier Paolo Fraddosio