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Adele Mimù: la pittrice che colora la vita con tele balsamo per l’anima

Adele Mimù: la pittrice che colora la vita con tele balsamo per l’anima

L’artista si racconta ai microfoni di Classic Drive Art

Il colore per Adele Mimù è lo specchio dello stato spirituale di una persona. Ogni individuo ha un suo colore, una sua tonalità la cui luce viene emanata dalle proprie membra. Nelle opere dell’artista il pigmento diviene lo strumento ideale per proiettare immediatamente sentimenti e stati d’animo soggettivi, spunti dialettici, testimonianze multiformi della realtà o immaginifiche. Le sfumature cromatiche decise e mordenti non hanno valenza oggettiva, ma offrono lo spunto per una lettura in chiave personale.

Adele Mimù ricorre a tinte potenti, spesso stranianti, che supportano una mai vacillante serenità di fondo, sia dal punto di vista iconografico che tematico. Ciò perché intende esprimere l’istintivo ritorno ad una natura ancestrale e passionale, senza filtri né costrutti, in cui l’armonia cromatica ben si adatta a soggetti ideali e naturalistici, mitologici o tratti dal reale.

Le sue opere, come la vita, si ergono su un equilibrio cromatico stabile, saturo, e su una gestualità armonicamente determinata. In tal senso, i rossi cremisi e i blu fiordaliso, i giallo crema e i verdi giada, sembrano acquisire facoltà terapeutiche: adattati a fiori e sirene, pesci e volatili, esortano l’osservatore a concepire il mistero come cura del sé. Ne derivano opere che parlano a pochi eletti, a quanti siano disposti ad accettare e ad accogliere lo stupor e la meraviglia. Forme e colori, smarrito qualsiasi rapporto di equilibrio e reciprocità, animano le tele di una danza sinuosa in cui cieli si fondono a manti fioriti, chiome di capelli folti e turchini si mescolano a pesci rosei, con il preciso obiettivo di mettere in crisi qualsiasi stereotipo.

Il colore, che è protagonista e contestualmente mezzo espressivo, dialoga con soggetti propri dell’innocenza e dell’entusiasmo della fanciullezza, fondamentali per rinascere. Si rinasce quanto occorre da ciò che la memoria ha salvato o da ciò che la fantasia libera riesce a suggerirci. Rinascere ogni giorno è la condizione necessaria per la creatività di un’anima, quale quella di Adele, sincera e limpida, che attinge dalla profondità del proprio cuore sperimentando il senso di sé.

Toni dominanti e ricorrenti si combinano vicendevolmente: il blu delle acque lontane e che solo le sirene possono raggiungere; il rosso che è il colore dei baci e che lenisce la tristezza; il giallo e l’arancio del caldo che brilla e che ride. Subiscono continue variazioni adeguandosi alla ricerca sofisticata di armonie cromatiche appaganti. Una vera festa per gli occhi che si nutrono di accostamenti di colori espressivi, improvvisi e compositi, apparentemente disabbinati, ma comunque affini.

Ho incontrato Adele Mimù come per caso, in una calda giornata estiva. Ho incontrato la sua arte e la sua anima di fronte ad una tazza di caffè freddo. Ho incontrato il suo equilibrio e la sua empatia, la sua audacia e la sua determinazione che ho fuso con la mia curiosità e il mio entusiasmo. Ho incontrato lo sguardo ipnotico di una sirena che fra i capelli aveva racemi di fiori gialli e i petali cremisi di un roseto su tela e mi sono sentita parte di un mondo che è altro, che è altrove.

Guarda l’intervista ad Adele Minù nella quinta puntata di Classic Drive Art

                                                                                                              Federica Acierno

4ª Puntata

A guidarci in un viaggio multisensoriale fatto di arte, libri, vini&food e motori, saranno: 𝐀𝐥𝐞𝐬𝐬𝐢𝐚 𝐀𝐧𝐭𝐢𝐧𝐨𝐫𝐢, Tenuta Principe Alberico 𝐑𝐢𝐜𝐜𝐚𝐫𝐝𝐨 𝐍𝐨𝐜𝐞𝐫𝐚, sommelier 𝐂𝐫𝐢𝐬𝐭𝐢𝐧𝐚 𝐁𝐨𝐰𝐞𝐫𝐦𝐚𝐧, chef – Glass Hostaria 𝗠𝗮𝗿𝗴𝗵𝗲𝗿𝗶𝘁𝗮 𝗣𝗼𝗹𝗶𝘁𝗶, autrice 𝐄𝐥𝐢𝐬𝐚 𝐋𝐚 𝐌𝐚𝐧𝐧𝐚, artista.

Tappa finale sarà il romanzo di 𝐀𝐥𝐞𝐬𝐬𝐚𝐧𝐝𝐫𝐨 𝐁𝐞𝐥𝐥𝐨𝐦𝐚𝐫𝐢𝐧𝐢, all’interno del quale si parlerà anche di un noto ciclomotore.

Buona Visione!

Fabio Magnasciutti, Vignettista

Fabio Magnasciutti: parole, immagini e fantasia dietro il mestiere del vignettista

L’illustratore si racconta a Classic Drive Art

Classe 1966, romano, Fabio Magnasciutti è un illustratore e un vignettista di professione. I suoi disegni sono stati scelti per far parte di svariati progetti editoriali, venendo spesso contesi da editori del calibro di: Giunti, Curci, Lapis, Barta e molti altri. La sua fantasia e la sua versatilità, però, non potevano rimanere legate ad un unico media; infatti le sue strisce a fumetti gli hanno valso collaborazioni illustri anche con la stampa periodica (La Repubblica, l’Unità, Il Fatto Quotidiano, Left per cui realizza tuttora copertine e vignette) e con importanti trasmissioni televisive, del calibro di Che tempo che fa. Insignito del titolo di “Miglior vignettista” dal Museo della Satira di Forte dei Marmi nel 2015, Magnasciutti ha ottenuto in seguito persino una cattedra presso l’Accademia dell’Illustrazione di Roma, che ha ricoperto fino al 2005. Oggi insegna illustrazione editoriale presso lo IED di Roma e presso la scuola di illustrazione Officina B5, da lui fondata proprio nel 2005.

Fabio Magnasciutti a lavoro

Una vita interessante, senza dubbio, animata da forti passioni e dall’amore sconfinato per l’arte che l’artista ha deciso di raccontare ai microfoni di Classic Drive Art, comparendo come ospite della prima puntata della seconda edizione.

«Ho sempre disegnato ed ho sempre sperato che potesse diventare un mestiere, cosa che effettivamente è : vivo di questo ormai da oltre trent’anni» racconta il vignettista.

Vignetta di Fabio Magnasciutti

Nelle sue vignette non ci sono solo immagini e figure, ma anche la parola – con giochi di significato e doppi sensi esilaranti – diventa la protagonista. Magnasciutti riconduce il merito di questa mescolanza di parole-immagini ad alcune «letture chiave» fatte da bambino che lo hanno ispirato e incoraggiato. Rodari, Calvino sono stati i suoi mentori, i pilastri della sua sensibilità verbale che lo hanno portato a riflettere sul rapporto tra significato e significante.

Vignetta di Fabio Magnasciutti

Un’arte, quindi, che nasce dalla parola, prima che dall’immagine.

«Solo in seguito, nel tempo, sono riuscito in qualche modo a mettere insieme le immagini: le vignette che girano ultimamente sono frutto di un’unione, appunto, tra queste due passioni. Iniziando da L’Unità, che è il quotidiano che ha ospitato per primo le mie vignette, ho poi continuato e adesso ciò che faccio è come una specie di stupefacente che dà assuefazione».

Da passione infantile a professione, quindi, fino a vera e propria droga dalla quale non può più prescindere. Ma da dove trae Fabio Magnasciutti le sue idee?

«A volte nascono da un’immagine, altre volte dal testo, non c’è una regola» precisa Magnasciutti. «Le fonti di ispirazione sono ovunque».

Vignetta di Fabio Magnasciutti

A meno che non riceva una commissione esterna, l’artista crea dunque liberamente, seguendo il suo estro e la sua curiosità, aggiungendo però sempre un pizzico di romanticismo e acuta ironia. Ogni vignetta è diversa dall’altra, anche se ci sono delle costanti ricorrenti: una di queste è, per esempio, il siparietto analista-paziente. Appartiene a questa serie anche la vignetta con il simbolo dell’infinito, molto apprezzata dai fan dell’illustratore.

«È una di quelle vignette che è nata puramente per caso, adesso non ricordo neanche bene come, ma mi sembra che in qualche modo stessi leggendo qualcosa riguardo al Nastro di Möbius o qualcosa del genere. Fatto sta che comunque mi è venuta spontanea l’associazione con il numero otto che, ovviamente, visto in verticale è un otto, ma visto in orizzontale invece è il segno dell’infinito».

Vignetta di Fabio Magnasciutti

Un’altra vignetta illuminante è quella del derviscio.

«Anche questa è nata per puro caso: stavo semplicemente vedendo una persona che si affannava dietro al proprio cane, portandolo in giro, quindi l’idea e la parola “giro” mi hanno evocato un derviscio e ho immaginato il povero cane che va a fare un giro con il suo padrone e che, in realtà, non ne fa uno, ma bensì molti di più».

C’è del genio, dunque, dietro a queste vignette: immagini in apparenza così semplici, eppure evocative: prodotto di una fantasia che – proprio come il moto perpetuo del derviscio – è inarrestabile.

 

Valentina Baraldi