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La Scalata di Mauro Tamagni: la corsa in moto tra i Quattro Valichi Alpini, sullo sfondo del Ventennio

La Scalata di Mauro Tamagni: la corsa in moto tra i Quattro Valichi Alpini, sullo sfondo del Ventennio

L’autore e motociclista ospite della terza puntata di Classic Drive Art

Val Camonica, quarto decennio del secolo scorso. Una competizione che si snoda tra i passi boscosi della Lombardia fino ai picchi del Trentino, riunendo piloti di ogni estrazione sociale per dieci edizioni consecutive. Sullo sfondo, un’Italia viziata dal Ventennio. 

La Scalata Quattro Valichi Alpini è questo, prima di essere un romanzo. L’autore, Mauro Tamagni, lo sa bene. È consapevole di essere lo scrittore di un romanzo storico, che assomma nelle sue 300 pagine i 25 anni più bui della storia del Bel Paese. Ma è anche orgogliosamente conscio che la sua, prima di tutto, è la storia di  un’amicizia, forgiata da una grande passione: quella per le motociclette

Motociclista lui stesso, Mauro Tamagni è nato a Brescia, dove ha ricoperto il ruolo di amministratore di un’azienda metalmeccanica fino alla pensione. Nel tempo libero, scrive e va in moto. E no, le due cose non si contraddicono. Semmai si alimentano a vicenda. Ce lo racconta a Classic Drive Art, come ospite della terza puntata della seconda stagione del programma. 

Scrittore dilettante di poesie, racconti e novelle, infatti, Mauro Tamagni ha deciso di coniugare le sue due più grandi passioni, trasferendo su carta un racconto ambientato nell’Italia di Mussolini, della guerra e della dittatura. I protagonisti sono due ragazzi, nati e cresciuti fianco a fianco, nell’epoca impietosa che furono gli anni Venti del Novecento. Ad unirli è proprio la passione per le motociclette e, in particolare, la scommessa di partecipare alla Scalata.

La Scalata di Mauro TamagniLa Scalata Quattro Valichi Alpini: una corsa di regolarità per motociclette, che – dal 1927 fino al 1954 – dalla Lombardia passava al Trentino, con partenza ed arrivo a Edolo, nel cuore della Val Camonica. Una gara prestigiosa per tutti gli appassionati del tempo, che per i due giovani protagonisti diventerà lo sprone necessario a superare gli anni della guerra, l’arruolamento come piloti di idrovolanti, la Resistenza e i sacrifici della dittatura, fino all’armistizio dell’8 settembre. Entrambi manterranno la promessa, tornando a vestire i panni di nemici-amici proprio nelle ultime edizioni della Quattro Valichi Alpini. 

La Scalata di Mauro Tamagni«Tra di loro c’è un certo amore e odio» spiega Tamagni. «O più che odio, competizione: uno è di un’estrazione molto diversa dall’altro». Il primo, infatti, «ricorda le tribolazioni e i patimenti che ha avuto durante il periodo in cui era martinitt a Milano» cioè orfano abbandonato nella celebre struttura fondata a Milano da San Girolamo Emiliani nel XVI secolo. Il secondo, invece, «è il figlio del sindaco» e gode dunque di una condizione economica più agiata, pur dovendo fare i conti con «una mamma piuttosto assente». 

Due personaggi che sembrano agli antipodi, ma che condivideranno la stessa passione motociclistica e lo stesso destino. A dimostrazione che la guerra, così come la passione, non guarda in faccia nessuno, e di certo non tiene conto dell’estrazione sociale. 

La Scalata di Mauro TamagniLa Scalata, dunque, è un affresco dell’Italia della Resistenza, dei grandi ideali e delle passioni proibite, che filtra attraverso l’esuberanza giovanile dei protagonisti la triste parentesi del Ventennio fascita, sempre con il sottofondo dell’amore per la motocicletta. E Mauro Tamagni ne è l’autore a 360 gradi: non solo scrittore, infatti, Tamagni è anche l’illustratore di La Scalata Quattro Valichi Alpini.

La sua firma? Un topolino nascosto nei disegni. «Rappresenta una parte di me stesso, e un po’  di ironia, perché l’ironia nella vita ci vuole sempre» ha spiegato a Classic Drive Art. «Lo metto dove capita e dove penso che in quel momento lì starebbe bene. La sua presenza c’è, ma dev’essere discreta».

Guardate l’intervista a Mauro Tamagni nella terza puntata di Classic Drive art

Petra Conti, l’Anna Magnani della Danza

Petra Conti, l’Anna Magnani della Danza

L’étoile si racconta nella terza puntata di Classic Drive Art

Petra Conti International Prima Ballerina

Il suo nome è Petra Conti, ma in molti la conoscono come “l’Anna Magnani della Danza”. Ospite attesissimo della terza puntata di Classic Drive Art. Petra Conti, infatti, non è solo una ballerina. I suoi gesti, i suoi movimenti e i suoi passi sono le lettere di un linguaggio tutto suo, in bilico tra danza e recitazione. E il suo corpo ne è lo strumento.

«Questo è il complimento più bello che io abbia mai ricevuto» esordisce, modesta. «Il primo ad averlo detto è stato il mio maestro storico, Žarko Prebil, che purtroppo adesso non c’è più… lui è stata la prima persona che ha creduto in me: è stato il mio mentore e colui che mi ha indirizzato verso questa bellissima carriera». 

Una carriera che, in effetti, è stata davvero bellissima. Nata ad Anagni da padre italiano e madre polacca, Petra Conti ha frequentato l’Accademia Nazionale di Danza di Roma. È proprio lì che ha conosciuto Žarko Prebil, il mentore che l’ha accompagnata fino al diploma, conseguito con lode nel 2006. 

Da quel momento, la sua è stata una parabola di successi, premi e riconoscimenti: dal periodo al Teatro Mariinsky di San Pietroburgo agli schermi di Rai Uno, dove affianca – giovanissima – un’icona come Raffaella Carrà e danza al braccio del grande Roberto Bolle

«Sì, Raffaella Carrà ha esaudito il mio sogno, che era quello di ballare con Bolle»  racconta, sorridendo. «Lei aveva questo programma che si chiamava Sogni e io facevo la nuvoletta, una specie di valletta del programma. Mi chiese in diretta di ballare su una musica e quella è stata, praticamente, la mia audizione. La settimana dopo mi invitò nel suo studio e mi disse: “Guarda Petra, io ti mando a San Pietroburgo per ballare con Roberto Bolle”. Quello fu l’inizio di tutto».

All’epoca, Petra Conti aveva solo 16 anni. Non poteva sapere che esattamente dieci anni dopo avrebbe rincontrato Bolle, ma in veste di collega e “principal dancer”, non più di fan. 

Petra debutta da étoile a soli 17 anni, quando le viene assegnato il ruolo di Cenerentola nel balletto allestito all’Arena di Verona. All’Arena seguiranno il Bavarian State Ballet di Monaco e, infine, il Teatro della Scala: la Mecca per ogni giovane étoile italiana. Debutta nel ruolo di Giselle, praticamente da sconosciuta. Poco dopo, è prima ballerina. 

Ma ciò non le impedirà di viaggiare – in veste di special guest star – tra le compagnie di Boston, Los Angeles e del Great Russian Ballet. È su invito di quest’ultimo, infatti, che Petra Conti ha avuto modo di tornare a interpretare Giselle in tredici spettacoli in giro per tutto il Canada. 

«Giselle è il ruolo che io ho ballato di più e che, forse, sento più mio» racconta. «Ed è anche il ruolo con il quale ho debuttato alla Scala a 21 anni, proprio perché quella prima recita alla Scala segnò il mio destino. Mi ricordo che c’è stato un giornale che pubblicò un titolo che recitava: “Sconosciuta étoile alla Scala”. Ecco, questo grazie a Giselle».

Tra il 2018 e il 2019, però, il richiamo della patria è forte, e Petra Conti torna a esibirsi in Italia. E lo fa in grande stile, nella magica cornice dell’Arena di Verona, durante il Festival lirico. È prima ballerina ospite e in programma c’è niente di meno che l’Aida

«L’Aida mi ricorda subito l’Arena di Verona, dove sono spesso ospite come prima ballerina» ammette. «È una sensazione bellissima già solo pensarci: ballare davanti al pubblico dell’Arena è una cosa spettacolare. Poi, l’Aida, durante il trionfo, con quella musica suonata dal vivo, è talmente emozionante… è proprio indescrivibile». 

Felicemente sposata con il primo ballerino Eris Nezha, Petra continua a vivere il suo sogno. E dopo “étoile”, “Prima Ballerina” e “l’Anna Magnani della Danza”, agli appellativi che descrivono Petra Conti si è aggiunto anche quello di Ambasciatrice della Danza italiana nel Mondo

«Per me è un onore ma è anche una grandissima responsabilità» ha confessato Petra. «Porto il nome della Danza italiana nel Mondo, soprattutto adesso che vivo in America e sono diventata anche americana. Ha un peso bellissimo ma che, ovviamente, devo sempre ricordarmi di avere: ogni volta che mi esibisco in scena sono Petra Conti: italiana, con questa mia storia, e un’ eredità che devo comunque dimostrare».

Guarda l’intervista a Petra Conti nella terza puntata di Classic Drive Art

Tim, partitura a due voci: Margherita Cucco scopre Avicii

Tim, partitura a due voci: Margherita Cucco scopre Avicii

L’autrice si presenta alla terza puntata di Classic Drive Art

Era il 2018 quando Margherita Cucco incontrò per la prima volta Avicii: il deejay svedese che sarebbe morto   di lì a poco. 

«È stato un incontro effettivamente casuale, o fatale» conferma Margherita Cucco a Classic Drive Art. Dopotutto, con un personaggio di tale fama non avrebbe potuto essere altrimenti. Da quel primo incontro, però, sarebbe nato Tim, partitura a due voci, ultimo romanzo di una trilogia che Margherita Cucco ha voluto dedicare al musicista scomparso così prematuramente. 

 

Prima di quel fatidico 20 aprile 2018, Margherita non aveva mai sentito nominare Avicii. 

«Non so perché, ma la notizia e la fotografia che l’accompagnava mi hanno colpita e, così, nei giorni seguenti, sono sempre stata più interessata, incuriosita e coinvolta anche a livello emotivo». 

Chi crede nel destino direbbe che un grande piano voleva che Margherita incrociasse Avicii prima di scomparire perché destinata a raccontarne la storia. Se così fosse, i libri Il ragazzo luminoso, Avicii e Tim, partitura a due voci sarebbero il triplice risultato di tale operazione. 

Pubblicato da Robin Edizioni, il libro sarebbe presto diventato il primo atto di una trilogia. Ma come è potuto sbocciare un simile interesse dal terreno della totale indifferenza? «Intanto ho conosciuto la sua musica, che ignoravo e che ho apprezzato moltissimo» racconta Margherita Cucco. «Poi ho letto notizie sulla sua storia, che mi ha colpito perché è una storia emblematica di una persona: un’anima veramente profonda e con delle doti – non solo artistiche, ma anche umane – veramente notevoli, che ha avuto la fortuna di diventare famosissimo, ricchissimo, osannato in tutto il mondo, ma ha avuto anche la disgrazia di non essere capito, non essere conosciuto per quel che veramente era e di essere sfruttato senza pietà». È il tema dell’ultimo libro della trilogia, che «è narrato alternativamente da due voci: una delle quali è quella di uno dei… li definiremo i “cattivi”, no? Di quelli che hanno contribuito, diciamo, alla sua rovina, alla sua distruzione, se vogliamo». 

Quella maturata da Margherita Cucco è una comprensione profonda del personaggio di Avicii, del genere che solo chi parte da una tavolozza completamente bianca può dipingere. Niente preconcetti, nessuna seduzione da parte della notorietà del personaggio: Margherita Cucco ha scoperto Avicii direttamente – ed esclusivamente – dai testi delle sue canzoni.

«Mi sono serviti intanto per conoscere lui, perché se nella vita di ogni giorno era costretto in qualce modo a recitare una parte, nei testi delle canzoni, specialmente in alcuni, confessava se stesso e le sue paure». Un meccanismo di difesa a cui, forse, sono ricorsi diversi personaggi del mondo dello spettacolo, appiattiti e stereotipati da una fama troppo invadente. Forse era davvero destino che Margherita Cucco incontrasse Avicii prima che ci venisse strappato. Forse, il suo compito era quello di togliergli la maschera che il mondo della musica lo aveva costretto a indossare, in modo che Avicii – il vero Avicii – si svelasse per quello che era davvero. 

Valentina Baraldi

Guardate la  terza puntata di Classic Drive art

Lo spirito delle idee: un mondo tra realtà e fantasia

Lo spirito delle idee: un mondo tra realtà e fantasia

Jessica Rigoli presenta il suo romanzo a Classic Drive Art

Chi, almeno una volta nella vita, non ha desiderato evadere dalla realtà? In fondo, il desiderio di “altro”, l’interrogativo verso l’ignoto è una delle cifre distintive della nostra specie. L’essere umano cerca, non si rassegna al contingente. «Ove tende / questo vagar mio breve, / il tuo corso immortale?» chiedeva Leopardi alla Luna. Ed è la stessa domanda di sempre, che è passata attraverso le religioni, la scienza, l’occultismo e la psiche di intere generazioni: che cosa c’è, oltre la realtà?

Se lo è chiesto anche Jessica Rigoli, giovane autrice emergente, di Lo spirito delle idee. Per rispondere alla domanda, lei ha scelto la via del selfpublishing: il risultato è stato la pubblicazione di due fantasy che esplorano i confini tra realtà e fantasia. 

«Sì, sembra quasi una contraddizione in termini perché quando parliamo di fantasy pensiamo sempre a un qualcosa di completamente fantastico, di completamente irreale. Invece nel mio romanzo ho voluto cercare di fondere sia il fantasy sia la realtà». Perciò niente elfi, nani e creature magiche nel suo romanzo. Lo spirito delle idee non è l’ultimo degli epigoni di Tolkien. La protagonista di Lo spirito delle idee viene catapultata in un mondo parallelo, dove vivrà appunto «un’avventura completamente fantastica». 

 

Come racconta Jessica Rigoli a Classic Drive Art: «Il romanzo ha preso vita come una favola della buona notte per mia figlia Melissa» racconta. Difficile non pensare subito all’analogia con J.K. Rowling: i racconti che inventiamo per mettere a nanna i bambini sembrano essere terreno fertile per i fantasy. In questo caso, però, la protagonista è esistente, è reale, è proprio lei Melissa. 

«Ho voluto creare una storia in cui lei si ritrovasse, in cui potesse trovare molti riferimenti della nostra vita». 

Ad esempio, Mika e Paco, i due cani che, nel romanzo, finiscono con Melissa nel “Mondo Inverso”, nella realtà condividono la quotidianità tanto di Melissa quanto di Jessica. Anche molti scenari del cosiddetto “Mondo Dritto”, il primo esplorato da Melissa, hanno collegamenti con la realtà. 

«Quindi nonostante possa sembrare, appunto, una contraddizione, c’è un forte mix, una forte unione tra il fantasy e la realtà, che rende sicuramente Lo spirito delle idee un romanzo adatto non solo ai bambini e ai ragazzi, ma anche agli adulti».

In fondo, è il sogno di ogni madre: creare un nuovo mondo per i loro figli, nel quale possano crescere, scoprire, esplorare con la sicurezza della fantasia. Jessica lo ha fatto davvero, con le parole. E con le immagini. Per questo, ha preso parte attiva nella selezione della copertina di Lo spirito delle idee: anche quella doveva essere su misura, come l’intero mondo consegnato nelle mani di Melissa.

«All’interno ho inserito tante illustrazioni, soprattutto all’inizio dei capitoli, così che anche il lettore più giovane possa essere invogliato alla lettura». 

 

A partire dal secondo volume, è comparsa anche una mappa, vero must per ogni fantasy che si rispetti, un logo per la saga e uno per l’autrice stessa: «diciamo che ho cercato il più possibile di creare un rapporto diretto e di impatto con il lettore» dichiara Jessica Rigoli.

Immagini, parole e immaginazione: tutti ingredienti che, mescolati, hanno prodotto una risposta alla famigerata domanda: «Cosa c’è oltre la realtà?». Non possiamo sapere se quella de Lo spirito delle idee sia la risposta giusta, ma è indubbio che possa avere il suo fascino. 

Valentina Baraldi

Guarda la seconda puntata di Classic Drive Art!

Massimo Cervelli: «per me l’automobile è un grande amore»

Massimo Cervelli: «per me l’automobile è un grande amore»

Il fondatore e proprietario di mlc Italia a Classic Drive Art

MassimoCervelli

L’ultimo ospite della seconda puntata di Classic Drive Art è Massimo Cervelli, cultore delle auto e proprietario di Mlc Italia

«Per me l’automobile è un grande amore» esordisce nella sua intervista. «È l’amore che provo per la libertà. Come sappiamo, l’auto è simbolo della ricerca di libertà per l’uomo, no? La sua ricerca di indipendenza e di velocità. L’automobile diventa simbolo della cultura del tempo in cui nasce». 

Nato a Torino, Massimo Cervelli ha collezionato esperienze di prima scelta nel settore automobilistico. La sua cultura in merito si è costruita nel tempo, esperienza dopo esperienza. In particolare, a formarlo è stato il periodo trascorso a lavorare per Maserati, sia da Modena che dall’estero. 

«Ho costruito una cultura automobilistica che guarda alla vita delle persone che, nel mondo automotive, hanno creato quei simboli che ancora oggi sono forti, grazie alla tenacia e al coraggio che questi, i loro creatori, hanno dimostrato». 

Mic ItaliaLa sua è una passione nata durante l’infanzia, poi sviluppata sul lavoro, e che si è infine trasformata a sua volta in una professione. Oggi, Massimo Cervelli è fondatore e proprietario di Mlc Italia, attività che porta avanti con orgoglio e che ha come motto “Guidare è un arte”. Passione, esperienza internazionale, motivazione: sono tre degli ingredienti del successo di Mlc Italia, che oggi si considera un punto di riferimento nel settore della compravendita di automobili di lusso o di interesse storico. Veicolando la filosofia del guidare come arte, Massimo Cervelli supporta quindi i collezionisti di tutto il mondo nell’acquisto di auto storiche o di pregio, accompagnando ciascun cliente in un percorso di ricerca personalizzato e sicuro. 

Mic Italia«Mi accorgo che ogni volta iniziamo insieme un viaggio ricco di ricordi, ricco di cultura» ha confidato a Classic Drive Art. «Ogni volta imparo qualcosa di nuovo e la cosa più importante è che mi accorgo che il valore degli oggetti che trattiamo e che cerchiamo è dato dalla verità, dall’autenticità delle persone che hanno contribuito alla loro nascita ma, soprattutto, alle emozioni che questi oggetti hanno suscitato nel tempo».

Il primo esempio. 

«Il primo riguarda un marchio nato all’inizio del ‘900 grazie a Matteo Ceirano e Guido Bigio, che proprio a Torino fondarono la fabbrica di automobili Itala. È un marchio che mi ha sempre emozionato: la macchina, il suo colore rosso e il suo nome riportato sulla griglia anteriore è segno di grande orgoglio. Si tratta di una macchina che vinse le gare più prestigiose dell’epoca». 

Secondo esempio. «Non posso che citare la Pininfarina fondata a Torino. Come sapete, Pininfarina ha creato i modelli più belli di sempre a partire dai marchi più prestigiosi come Ferrari e Maserati. Quello che vedete nella foto è il prototipo della Maserati A6, progetto Pininfarina, presentata nel ’47 nel primo dopoguerra al Salone di Ginevra. È un auto bellissima, le sue linee hanno suscitato la meraviglia di collezionisti di tutto il mondo. I più attenti avranno notato le tre feritoie, le tre prese d’aria sulla fiancata: elemento stilistico tuttora dei modelli Maserati. Sono legato a questo modello perché dà inizio alla storia della produzione stradale di Maserati che nasce nelle corse e, di conseguenza, poterla guidare su strada era solo un sogno». 

Quindi, qual è il senso del lavoro di Massimo Cervelli? Ridonare al settore automobilistico quel pregio artigianale che, con gli anni, si è perso. Con le produzioni massificate, le auto a noleggio, il leasing e tutte le comodità che ci portano a vedere l’automobile come mero mezzo di trasporto, essa è diventata parte dello sfondo, banale nella sua quotidianità. Sarebbe bello, invece, soffermarsi a riflettere sul capolavoro di meccanica sul quale saliamo ogni giorno. Ragionare sul fatto che qualcuno l’ha disegnato e l’ha prodotto, curando ogni dettaglio.

Guarda l’intervista a Massimo Cervelli nella seconda puntata di Classic Drive Art!

Valentina Baraldi 

Roberto Bellucci: «Sono un artista perché vivo»

Roberto Bellucci: «Sono un artista perché vivo»

Il pittore contemporaneo si racconta a Classic Drive Art

«Sono un artista contemporaneo perché vivo». Esordisce così Roberto Bellucci, durante la sua intervista a Classic Drive Art. La sua è una dichiarazione che denuncia in partenza un’immersione totale nel suo lavoro, quello di pittore. Classe 1959, Bellucci è un romano che non ha avuto modo di crescere all’ombra del Colosseo. Quando la sua famiglia si trasferì in Africa, infatti, aveva appena 5 anni. Ha vissuto a Mogadiscio (Somalia), gli anni nei quali la creatività conosce il suo sviluppo più importante, ricevendone in cambio una sensibilità particolare. Il sole e gli odori dell’Africa gli sono rimasti sottopelle, per poi riaffiorare – a distanza di anni – nei suoi dipinti. A loro si sono poi mescolati i sapori di Napoli, città nella quale ha intrapreso gli studi artistici, specializzandosi nell’olio su tela.  La pittura, per Roberto Bellucci, è più di un mezzo d’espressione. È una compagna di vita. «Dipingo dal 1978, quando ho iniziato a fare un mio percorso di ricerca, per trovare il mio metodo espressivo»  racconta. «È il mio modo di narrare ciò che non è visibile, quindi le sensazioni, le emozioni». Ma come si dipinge qualcosa che non si può vedere? Roberto Bellucci usa una tecnica tutta sua.  «Io la definisco frammentazione cromatica. È come se noi avessimo una palla bianca che racchiude tutti i colori e nel momento in cui si rompe esplodono tutti insieme, e ci lasciano queste descrizioni sensoriali. Anziché sovrapporre i colori, stendo il colore e poi lo lavoro sottraendolo, creando una serie di tasselli e di immagini particolarmente luminose». Non a caso, la luce è un elemento importantissimo nei quadri di Roberto Bellucci. È la luminosità della Somalia, che ancora traspare nelle sue tele, dando la sensazione di poterle quasi toccare. «Questo sole così abbagliante l’ho poi ritrovato nel rientro in Italia, a Napoli, dove effettivamente c’è stata una sorta di continuità di questo abbagliamento». Dall’Africa all’Italia, dunque, l’arte di Roberto Bellucci si fa universale.  «Vivo tra la gente, vivo tra le persone: quindi vivo anche i sentimenti, le emozioni di quello che ci circonda. Per questo, se nelle mie espressioni artistiche riesco a comunicare agli altri, significa che sono un uomo».

Guarda l’intervista a Roberto Bellucci nella seconda puntata di Classic Drive Art!

Valentina Baraldi