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Casale di Ioria: storia di un’azienda di una volta

Casale di Ioria: storia di un’azienda di una volta

Marina Perinelli, Roberto Mazzer e Salvatore Tassa tra vino e sapori: il connubio azienda-territorio raccontato a Classic Drive Art

 

Nascosta nel cuore del Lazio, tra i colli che hanno visto nascere l’Impero Romano, sorge Casale della Ioria. È un’azienda agricola, che ha saputo portare nel nuovo millennio quel rapporto genuino con la terra che caratterizzava le colture di una volta. A raccontarne la storia, di fronte alle videocamere di Classic Drive Art, è Marina Perinelli, l’erede dell’impero familiare che, dal 1921, si concentra sulla valorizzazione dei vitigni autoctoni. Da non dimentica, però, che – accanto alla viticoltura – Casale della Ioria si occupa anche della produzione di oli extravergine di oliva, anche questa rigorosamente artigianale. «È un’azienda biologica», sottolinea Marina Perinelli. «Noi curiamo tutto, dall’uva fino al prodotto finale».

«Casale della Ioria è prima di tutto un’azienda agricola molto antica, che ha una storia antica», esordisce Marina. «La si ritrova persino descritta nelle mappe della zona del 1830, come un’unità di produzione dell’epoca». Casale della Ioria sopravvive da allora, ossia da quando le aziende agricole erano una vera e propria realtà autonoma, cuore pulsante di comunità autosufficiente che si procurava il vitto con diversi tipi di colture interne.

Da allora, molte cose sono cambiate. Ma non il legame viscerale con il territorio. Un territorio speciale, quello di Anagni e dintorni. «È uno di quei terreni, territori cosiddetti “vocati”», spiega la Perinelli al pubblico di Classic Drive Art. «Sia il microclima, che la composizione del terreno fanno sì che la vite sia da sempre una delle colture d’elezione». È proprio questa la peculiarità che rende i prodotti di Casale della Ioria così speciali.

Appena sotto le colture della Tenuta della Ioria, l’azienda più grande di cui si compone il Casale, infatti, «ci sono delle rocce che in alcuni punti sono affioranti, oltre ad argille bianche e rosse», che rendono il terreno particolarmente fertile. «L’esposizione al sole di queste colline», inoltre, «è ideale per la vite». «Nell’azienda dove produciamo Torre del Piano», aggiunge Marina Perinelli, «ci troviamo persino nel catino di un antichissimo vulcano: abbiamo un terreno più nerastro, ma essendo ai piedi di una montagna c’è una ventilazione giornaliera che consente di tenere asciutte naturalmente le foglie delle piante di uva». Una perfetta unione, dunque, tra natura e dedizione, tra doni del territori e ingegno umano. L’equilibrio tra questi due poli si è mantenuto intatto duranti i decenni.

Oggi, però, Casale della Ioria è specializzata principalmente nella produzione del Torre del Piano, un Cesanese del Piglio D.O.C.G., Riserva Superiore 2018. Un vino che riassume nel suo nome e nel suo aroma una storia di lunga data: «il nome probabilmente si riferisce alle terre caese, dal latino ‘caedo’, dove si tagliavano i boschi, si piantavano i vigneti», spiega infatti Marina Perinelli. Con una maggioranza del 75% di vini bianchi prodotti in regione, il Cesanese che è l’unico rosso autoctono del Lazio. «È difficile descriverlo a chi non l’ha assaggiato», sottolinea Marina. È un rosso con una forte connotazione autoctona, «caratterizzato da questi frutti rossi e da un profumo di rose rosse vellutate, che invecchiando tira fuori delle note speziate».

Un aroma complesso, dunque, che non si ottiene certo per caso. Ce lo conferma  l’enologo Roberto Mazzer, secondo ospite della puntata di Classic Drive Art. «È un vino a cui sono molto affezionato, così come all’azienda, e che ho visto nascere e crescere», esordisce. «Il Cesanese è di per sé una passione, devi essere molto appassionato per poterlo apprezzare, e per poterci lavorare».

La tecnica di produzione del vino di Casale della Ioria, infatti, si è evoluta insieme alla stessa azienda. Marina Perinelli racconta infatti: «fin dai primi anni ’80, abbiamo reimpiantato nuovi vigneti partendo dalle marze di quelli vecchi, riproducendo i cloni che avevamo in azienda un tempo». Selezionato i più interessanti tra i cloni storici dell’azienda, Mazzer e Casale della Ioria hanno individuato terreno, sistema di produzione e tecnica migliori: gli addendi che hanno prodotto il Torre del Piano.

«Il Cesanese è un’uva abbastanza particolare: la maturazione della parte zuccherina e la parte polifenolica, ossia quella che dà il colore e la struttura del vino, non sempre viaggiano insieme», continua Mazzer. Per questo, «Il Torre del Piano è un prodotto che viene fatto solo nelle annate che riteniamo più adatte. Il 2018 è stata un’annata molto particolare: c’è stata una primavera molto piovosa e quell’anno non abbiamo superato i 20/25 quintali per ettaro… Però l’annata non è stata particolarmente calda, cioè ha aiutato a mantenere il prodotto più fresco, più fruttato e decisamente più elegante».

Storia e territorio, dunque, sposati nell’aroma di un vino con un passato importante. «La ricerca è stata quella di trovare un prodotto dove spingere sull’eleganza, sull’equilibrio, sulla piacevolezza: è il 2018 questo ha. Un equilibrio tra la parte tannica e la parte alcolica. L’alcol non manca, ma è equilibrato dalla freschezza e dal frutto del vino».

E se vi steste chiedendo con cosa abbinare il Torre del Piano Cesanese del Piglio, Riserva 2018, ci pensa Salvatore Tassa, chef del ristorante Colline Ciociare e amante della cucina dai sapori essenziali.

«A questo vino Cesanese dell’azienda Perinelli abbino un manzo maturato nella terra, con una salsa di crioestrazione di mais e fondo bruno», ha spiegato lo chef.

L’idea nasce proprio dal territorio, ecco perché l’abbinamento con Cesanese di Perinelli è fondamentale, perché la carne viene preventivamente messa a maturare con la torba che abbiamo qui nei nostri boschi. In questo processo di maturazione c’è anche un lieve inizio di fermentazione che è quello poi che connota proprio i sapori del nostro territorio. Infatti questa carne, alla fine della maturazione, sa proprio di quello che è il territorio nostro, della Ciociaria. Sembra che quel vino abbia imbevuto quella terra e quella terra si sia nutrita di quel vino. Ecco perché l’abbinamento risulta eccellente.

 Scopri di più sui prodotti di Casale della Ioria nell’intervista a Marina Perinelli nella seconda puntata di Classic Drive Art!

Valentina Baraldi 

Mariella Mengozzi presenta il Museo Nazionale dell’Automobile a Classic Drive Art

Mariella Mengozzi presenta il Museo Nazionale dell’Automobile a Classic Drive Art

Mariella Mengozzi

A Torino una vera e propria eccellenza italiana

museo dell'Automobile Torino

L’apertura del museo dell’Automobile Torino

L’ultima ospite della prima puntata di Classic Drive Art (seconda edizione) è Mariella Mengozzi, direttrice del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino. Spetta a lei il compito di richiamare l’attenzione verso uno dei principali poli d’interesse del programma: i motori, e la loro storia.

 

 

museo dell'Automobile Torino

Una delle sale del Museo

È un racconto lungo, non c’è dubbio, quello che ha per protagonista l’automobile. Ma il Museo dell’Automobile di Torino, uno degli istituti dedicati al tema più antichi al mondo, è un ottimo narratore. «L’idea della prima esposizione nacque addirittura nel 1932, da parte di Roberto Biscaretti di Ruffia e Cesare Goria Gatti, che erano stati tra i fondatori della FIAT», racconta la direttrice. «Era un momento in cui Torino era particolarmente in fermento, l’automobile stava cominciando veramente a coinvolgere tantissime persone e l’idea fu quella di creare un’esposizione per raccontare le vetture dalle origini, dalla fine dell’800. Erano vetture che ancora non erano oggetti di collezione, spesso venivano abbandonate dai proprietari per essere sostituite con nuove tecnologie, erano ancora molto poche». 

Da allora, l’automobile ha percorso molta strada, materialmente e metaforicamente. Oggi, oltre ad essere un bene di prima necessità, è un vero e proprio idolo. Il Museo dell’Automobile di Torino è testimone e collettore di questa crescita, fin da quando le vetture d’epoca venivano salvate dallo sfasciacarrozze prima di essere esposte. Ogni passo di questo lungo viaggio è archiviato nel Centro di documentazione del Museo, cuore e cervello dell’istituzione torinese: libri, riviste, lettere (presenti, per esempio, gli scambi tra i proprietari e Vincenzo Lancia o Enzo Ferrari») che testimoniano l’evoluzione del rapporto uomo-automobile. 

museo dell'Automobile Torino

Un’esposizione nella “Sala Formula”

Mariella Mengozzi parla del Museo con trasporto, come se fosse una sua creatura. È seduta di fronte alla telecamera di Classic Drive Art, nella cosiddetta “Sala Formula”, «una delle sale più amate del nostro Museo», in cui è possibile visitare un’esposizione dedicata alle corse con le ruote scoperte. Alle sue spalle, un’ideale griglia di partenza: le vetture, posizionate con precisione, risalgono ai primi 12 anni di Formula 1. «Dal 1950, noi abbiamo le prime 10 vetture che hanno vinto il mondiale», sottolinea con orgoglio la direttrice. «Dall’Alfetta 158, che vinse con Farina il primo mondiale di Formula 1 nel 1950, alla 500 F2 di Ascari; abbiamo la Lancia D50, magnifica, abbiamo una straordinaria Mercedes W196, quella che vinse con Fangio il mondiale. Abbiamo delle perle veramente incredibili». 

Molte di essere sono stata donate dal signor Ferrari in persona: «Enzo Ferrari notoriamente non era interessato a sviluppare il Museo, ma era consapevole dell’importanza di raccontare la storia». Una storia che parte con l’apertura del Museo nel 1960, continua con la sua ristrutturazione nel 2011 e si completa dopo la recente riapertura, con un l’elaborazione di «un percorso molto scenografico, molto coinvolgente ed emozionante, una collezione straordinaria…». 

museo dell'Automobile Torino

L’ingresso del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino

Mariella Mengozzi quasi si emoziona a parlarne. Dopotutto, anche il Times conviene nel considerare il Museo dell’Automobile di Torino una vera chicca, includendolo tra i 50 musei al mondo che più vale la pena visitare. Ma in cosa consiste il percorso di visita delle sale? Ce lo spiega la direttrice: «Noi abbiamo una collezione di circa 200 vetture, di cui 150 nel percorso permanente. Esso è diviso su tre piani, di cui il piano iniziale è un percorso cronologico meraviglioso, con dei gioielli come la Itala Pechino-Parigi, la Isotta Fraschini del film “Viale del Tramonto”, la Cisitalia 202, la Fiat Turbina… delle cose meravigliose. Il piano intermedio, che è quello in cui mi trovo ora, è un piano tematico con la Formula, con l’assemblaggio, con i componenti… il piano terra, infine, è dedicato al design e alle mostre temporanee».

 «Ma aggiungiamo sempre mostre temporanee ed eventi», specifica però la Mengozzi. Non a caso, dato che  è ormai prossima l’inaugurazione di una mostra dedicata ai novant’anni più uno di Pininfarina, un’esposizione temporanea «di cui siamo orgogliosissimi». Che siate appassionati o neofiti del settore, il Museo dell’Automobile potrà regalarvi emozioni. E poi, come esclama Mariella Mengozzi al termine della sua intervista, «ci sono sempre cose nuove, ci sono sempre cose nuove!». 

Vuoi saperne di più? Visita il Museo dell’Automobile di Torino o riguarda l’intervista a Mariella Mengozzi nella prima puntata di Classic Drive Art!

Valentina Baraldi

Fabio Magnasciutti, Vignettista

Fabio Magnasciutti: parole, immagini e fantasia dietro il mestiere del vignettista

L’illustratore si racconta a Classic Drive Art

Classe 1966, romano, Fabio Magnasciutti è un illustratore e un vignettista di professione. I suoi disegni sono stati scelti per far parte di svariati progetti editoriali, venendo spesso contesi da editori del calibro di: Giunti, Curci, Lapis, Barta e molti altri. La sua fantasia e la sua versatilità, però, non potevano rimanere legate ad un unico media; infatti le sue strisce a fumetti gli hanno valso collaborazioni illustri anche con la stampa periodica (La Repubblica, l’Unità, Il Fatto Quotidiano, Left per cui realizza tuttora copertine e vignette) e con importanti trasmissioni televisive, del calibro di Che tempo che fa. Insignito del titolo di “Miglior vignettista” dal Museo della Satira di Forte dei Marmi nel 2015, Magnasciutti ha ottenuto in seguito persino una cattedra presso l’Accademia dell’Illustrazione di Roma, che ha ricoperto fino al 2005. Oggi insegna illustrazione editoriale presso lo IED di Roma e presso la scuola di illustrazione Officina B5, da lui fondata proprio nel 2005.

Fabio Magnasciutti a lavoro

Una vita interessante, senza dubbio, animata da forti passioni e dall’amore sconfinato per l’arte che l’artista ha deciso di raccontare ai microfoni di Classic Drive Art, comparendo come ospite della prima puntata della seconda edizione.

«Ho sempre disegnato ed ho sempre sperato che potesse diventare un mestiere, cosa che effettivamente è : vivo di questo ormai da oltre trent’anni» racconta il vignettista.

Vignetta di Fabio Magnasciutti

Nelle sue vignette non ci sono solo immagini e figure, ma anche la parola – con giochi di significato e doppi sensi esilaranti – diventa la protagonista. Magnasciutti riconduce il merito di questa mescolanza di parole-immagini ad alcune «letture chiave» fatte da bambino che lo hanno ispirato e incoraggiato. Rodari, Calvino sono stati i suoi mentori, i pilastri della sua sensibilità verbale che lo hanno portato a riflettere sul rapporto tra significato e significante.

Vignetta di Fabio Magnasciutti

Un’arte, quindi, che nasce dalla parola, prima che dall’immagine.

«Solo in seguito, nel tempo, sono riuscito in qualche modo a mettere insieme le immagini: le vignette che girano ultimamente sono frutto di un’unione, appunto, tra queste due passioni. Iniziando da L’Unità, che è il quotidiano che ha ospitato per primo le mie vignette, ho poi continuato e adesso ciò che faccio è come una specie di stupefacente che dà assuefazione».

Da passione infantile a professione, quindi, fino a vera e propria droga dalla quale non può più prescindere. Ma da dove trae Fabio Magnasciutti le sue idee?

«A volte nascono da un’immagine, altre volte dal testo, non c’è una regola» precisa Magnasciutti. «Le fonti di ispirazione sono ovunque».

Vignetta di Fabio Magnasciutti

A meno che non riceva una commissione esterna, l’artista crea dunque liberamente, seguendo il suo estro e la sua curiosità, aggiungendo però sempre un pizzico di romanticismo e acuta ironia. Ogni vignetta è diversa dall’altra, anche se ci sono delle costanti ricorrenti: una di queste è, per esempio, il siparietto analista-paziente. Appartiene a questa serie anche la vignetta con il simbolo dell’infinito, molto apprezzata dai fan dell’illustratore.

«È una di quelle vignette che è nata puramente per caso, adesso non ricordo neanche bene come, ma mi sembra che in qualche modo stessi leggendo qualcosa riguardo al Nastro di Möbius o qualcosa del genere. Fatto sta che comunque mi è venuta spontanea l’associazione con il numero otto che, ovviamente, visto in verticale è un otto, ma visto in orizzontale invece è il segno dell’infinito».

Vignetta di Fabio Magnasciutti

Un’altra vignetta illuminante è quella del derviscio.

«Anche questa è nata per puro caso: stavo semplicemente vedendo una persona che si affannava dietro al proprio cane, portandolo in giro, quindi l’idea e la parola “giro” mi hanno evocato un derviscio e ho immaginato il povero cane che va a fare un giro con il suo padrone e che, in realtà, non ne fa uno, ma bensì molti di più».

C’è del genio, dunque, dietro a queste vignette: immagini in apparenza così semplici, eppure evocative: prodotto di una fantasia che – proprio come il moto perpetuo del derviscio – è inarrestabile.

 

Valentina Baraldi 

La Famiglia Cotarella si racconta

La Famiglia Cotarella si racconta

L’universo del wine marketing a Classic Drive Art

La Famiglia Cotarella

Tra gli obiettivi della nuova e aggiornata stagione di Classic Drive Art c’è sicuramente quello di stupire i propri spettatori con proposte tutte da scoprire. Ecco perché, da oggi, potrai ripercorrere i temi più interessanti di ogni puntata sul nostro blog!

Nella rosa di argomenti che il titolo Classic Drive Art assomma e descrive – turismo, food, valorizzazione culturale, editoria, arte, motori e molto altro –, quello del vino è sicuramente uno dei più affascinanti. Non a caso, è proprio all’insegna della scoperta del mondo dell’enologia e del wine marketing che si inaugura la seconda edizione del programma. 

I protagonisti sono diversi, tutti membri di un’unica famiglia. Quella di una delle più importanti aziende vinicole della penisola: Famiglia Cotarella

Era il lontano 1979, quando i fratelli Renzo e Riccardo Cotarella presero il coraggio a due mani e fondarono l’Azienda Vinicola Falesco, nei pressi di Montefiascone, nell’Alto Lazio. Non sapevano ancora che il loro sogno di valorizzare gli antichi vitigni di quel territorio così ricco di storia si sarebbe trasformato in un vero e proprio impero. Molte cose sono cambiate da allora: primo tra tutte il nome dell’azienda, che da Falesco è diventato Famiglia Cotarella. Ma la gestione famigliare e l’amorevole tradizione per la viticoltura, tramandata di generazione in generazione, è rimasta intatta. 

La Wine Manager Livia Belardelli consiglia Famiglia Cotarella

La Famiglia CotarellaAncora oggi, i Cotarella sono al timone dell’azienda. Ma, per permettere la crescita della loro attività, hanno saputo circondarsi di personalità all’avanguardia nel campo del wine marketing. Una di loro è Livia Belardelli, Wine Manager, sommelier e Chief Executive Officer nella sua propria agenzia di consulenza vinicola. La sua è una professione nuova, senza dubbio affascinante, ma anche complessa da descrivere a chi non è del settore. 

«Io, di solito, per riassumere in poche parole, dico che bevo per lavoro», sorride lei, primo ospite della puntata di Classic Drive Art. «Ora, ovviamente non è proprio così, sicuramente assaggio tanto perché di fatto mi sono creata un po’ un lavoro che non esisteva e quindi mi occupo di vino a 360°. Che significa? Significa che faccio consulenza, ho una mia agenzia di comunicazione che si chiama Flavour Coach, per cui faccio consulenza, sia per le aziende di vino, che per la ristorazione, per il mondo dell’hotellerie e in generale dell’hospitality». 

Ecco allora che una tradizione antica quanto l’Italia, quella del buon vino, entra nell’era moderna. E in quella del digitale, soprattutto dopo il lockdown del 2020. È allora, infatti, che è nata «l’ultima creatura» di Livia: Stappato, un sito di vendita e comunicazione del vino che ha permesso di perpetuare la valorizzazione della cultura del wine anche senza la possibilità di spostarsi fisicamente.

Famiglia Cotarella tra passato e futuro: la testimonianza di Dominga Cotarella

Dominga CotarellaTradizione e innovazione, futuro e passato. Sono i due poli che si attraggono e si respingono nella formula di Famiglia Cotarella, che da un lato incarna una tradizione pluridecennale – «io con le mie sorelle siamo nate nel vino, abbiamo sempre respirato vino fin da bambine» ricorda Dominga Cotarella, «il vino rimane sempre il nostro mondo principale a cui, naturalmente, apparteniamo» – e dall’altro non si risparmia nella proposta di iniziative all’avanguardia. 

Ne è un esempio l’Accademia Intrecci, nata solo nel 2017 con lo scopo di contribuire allo sviluppo dell’alta formazione di sala, all’ospitalità ed al servizio. Un mondo, quello legato all’ospitalità, che sempre più spesso si affianca a quello del vino: iniziare una carriera in questo settore significa avere alle spalle un lungo percorso di studi accademici, che Famiglia Cotarella aiuta così a completare. 

«Sono sei mesi più sei. Sei mesi a scuola in formula Campus: i nostri ragazzi vivono nell’accademia, dove hanno circa 1300 ore di studio, di formazione, oltre ovviamente ad una serie di attività, dallo sport al teatro, alla volontà di convivere e di condividere lo stesso ambiente, per poi partire per altri sei mesi di stage in Italia e nel Mondo. Questo perché riteniamo che l’ospitalità sia un’arte e, proprio per questo, non possa prescindere dalla formazione». 

Un prodotto doc: tutto sul Montiano 2017 e con cosa abbinarlo 

Montiano 2017Il mix di tradizione e innovazione, inoltre, si imbottiglia ogni giorno in uno dei prodotti più caratteristici della cantina Famiglia Cotarella, il Montiano. «Il Montiano è un po’ il vino della nostra famiglia, il vino che ha fatto la storia della nostra famiglia già prima con mio padre», ci conferma Dominga. «Diciamo mio padre iniziò questo progetto nel lontano 1993, quindi è un vino che nasce con lui e che noi figlie abbiamo preso in eredità, con la stessa passione, con la stessa volontà di scrivere anche noi la storia di questo vino, probabilmente con dei codici narrativi un po’ diversi». Un prodotto storico, dunque, che la nuova generazione dei Cotarella ha modernizzato e rivisitato: il Montiano 2017 è un 100% Merlot, ma ottenuto da una più capillare selezione delle uve, micro-vinificazioni e specializzazioni tese a «dare maggiore identità a questo vino», condensato di grazia, armonia e sinfonia di gusto.

Alessandro Crognale«È un Merlot di grande corpo, di grande eleganza», conferma Alessandro Crognale, Head Sommelier di Aroma, ristorante gastronomico di Palazzo Manfredi, lussuosissimo Boutique Hotel con vista mozzafiato sul Colosseo. «Al naso sento questi bei sapori di frutta matura, una leggera vaniglia, una bellissima speziatura; un vino al naso davvero interessante e, quando entra in bocca, si sente la sua morbidezza, il suo tannino morbido, levigato, davvero un grande vino». 

Con cosa abbinare questo squisito nettare? Ci ha pensato Giuseppe Di Iorio, chef di Aroma e atteso ospite di Classic Drive Art. La scelta cade su un pregiatissimo piccione in crosta con scarola e tartufo estivo, «perché, come ha detto Alessandro, è un vino importante, un vino corposo; […] mi serviva un prodotto che entrasse a gamba tesa, che reggesse il confronto con il vino». 

Come lo stesso Montiano 2017, dunque, anche il piatto di chef Di Iorio riassume avanguardia e tradizione, riprendendo insieme la dolcezza del vino – con la scarola ripassata in padella con uvetta – e la cucina popolare romana – con la spinta del tartufo estivo e del guanciale. Storia e futuro delle vigne e dei sapori italiani, in un unico assaggio. 

Vuoi saperne di più? Scopri tutti i segreti della Famiglia Cotarella e le prelibatezze del ristorante Aroma nella prima puntata della seconda edizione di Classic Drive Art!

Omo sanza lettere: la vita segreta di Leonardo

Omo sanza lettere: la vita segreta di Leonardo


Maria Rosaria D’Uggento presenta il suo saggio a Classic Drive Art

Chiunque abbia studiato la letteratura conosce bene la sensazione di familiarità che si acquisisce dopo aver approfondito uno dei grandi autori della tradizione. Dopo averne assimilato ogni concetto, dopo aver letto ogni suo scritto, si ha quasi l’impressione di conoscerlo. Eppure, non possiamo che rassegnarci all’idea che non potremo mai sapere davvero chi fosse. Terminiamo lo studio, e lui sale nell’Olimpo dei poeti e degli scrittori che conserviamo nella nostra memoria, una galleria immaginaria di figure se non astratte, perlomeno intangibili. 

Leonardo Da Vinci è senza dubbio uno di loro. L’«omo senza lettere» che scriveva da destra a sinistra ed eccelleva in ogni settore dello scibile: non c’è “galleria dei sommi” nella quale non compaia. Eppure, sappiamo chi fosse davvero, nella vita di tutti i giorni?

È la domanda alla quale tenta di rispondere Maria Rosaria D’Uggento nel suo saggio, «Omo sanza lettere». Leonardo. Pensieri. Frammenti, uscito nel 2019 per Edizioni del Faro. Ne parla nella puntata d’apertura della seconda edizione di Classic Drive Art, dove veste i panni di ospite rappresentante del mondo letterario. 

«Accostarsi al “Genio universale” richiede una buona dose di coraggio e ancor più di incoscienza», ha dichiarato l’autrice. Ed è indubbio che tuffarsi nel mare magnum degli appunti, degli schizzi e delle infinite annotazioni di Leonardo richieda una buona dose di audacia. «L’ho fatto con intenzione divulgativa affinché il patrimonio conoscitivo, valoriale, estetico, tecnico-scientifico che questo grande ci ha lasciato non finisca per essere patrimonio solo di un pubblico “ristretto”. Perché, in realtà, Leonardo intende rivolgersi a tutti». E tutti, dunque, dovrebbero avere modo di sfrondare l’intangibile figura che la Storia, con il suo corso, ha dipinto sopra la sua umanità. La sua materialità, la sua realtà. 

Il che significa approfondire e svelare tratti meno noti del suo pensiero, della sua epistemologia e della sua scienza, ma ancora di più riportare alla luce la sua quotidianità, i suoi rapporti personali, come si vestiva (la moda dell’epoca è uno dei temi più trattati all’interno del volume). In breve: quella parte di vita ancora sconosciuta e avvolta dal mistero. 

Il caso più eclatante è quello di Caterina, la madre di Leonardo. Molti sostengono che fosse proprio lei l’ispiratrice dell’enigmatico sorriso della Gioconda, ma chi era davvero Caterina? 

Quella che Maria Rosaria D’Uggento racconta a Classic Drive Art è la storia di una sedicenne orfana, sedotta  e abbandonata dall’affascinante notaio Piero da Vinci, già promesso ad un’altra fanciulla di più agiate origini. Di lei non si sa più nulla fino al 1493, quando una fonte la colloca in casa del figlio, Leonardo, dopo essersi trasferita in seguito alla morte di marito che nel frattempo le era stato imposto. Morirà di malaria solo poco tempo dopo, e sarà proprio Leonardo a onorarla con un ricco funerale. Il saggio della D’Uggento ripercorre questa storia poco conosciuta con fedele minuzia documentaria, fino ad arrivare alla svolta. «Ultimamente, siccome Leonardo non smette mai di stupire, c’è stata un’interpretazione molto affascinante del Capasso, il quale ha scoperto nientemeno che delle impronte, delle ditate, sia su fogli dei Codici leonardeschi, sia su alcuni dipinti di Leonardo» svela Maria Rosaria D’Uggento alla telecamera di Classic Drive Art. Grazie all’ausilio di avanzatissimi strumenti dattiloscopici, si è stati in grado di evidenziare come tali impronte, soprattutto quella del polpastrello dell’indice della mano sinistra, avessero una conformazione tipica delle popolazioni mediorientali. E di potevano essere se non dell’unica altra inquilina di casa Da Vinci? «Quindi qual è la tesi? La tesi è che Caterina fosse una schiava mediorientale, quindi araba. Le schiave, in questo periodo, venivano importate da Istanbul ed andavano a servire, come serve domestiche, a Firenze, ma anche in Italia o in Spagna. Leonardo era figlio di una araba», conclude la saggista. 

Eppure, le sorprese non sono ancora finite, e la trama si infittisce. Nel dibattito, riportato fedelmente nel volume della D’Uggento, si inserisce Angelo Parati, studioso stabilitosi da diversi anni ad Hong Kong: egli sostiene che «sì, Caterina era una schiava, però non una schiava mediorientale, ma una schiava cinese. Lo attesterebbero secondo lui i tratti somatici di Monna Lisa, nella quale sarebbe raffigurato il volto di Caterina, così come il paesaggio sullo sfondo, che sembra essere più confacente, anzi molto confacente, ad un paesaggio cinese, più che ad un paesaggio toscano». 

Araba, mediorientale o cinese che fosse, il saggio di Maria Rosaria D’Uggento dipinge la figura di Caterina con tratti di indubbio fascino e mal celato mistero. Non è forse questo che dovrebbe fare un saggio di storia? Presentare i fatti, le prove documentarie e le fonti, lasciando però spazio all’immaginazione e alla fantasia del lettore, così che provveda ad aggiornare in modi sempre diversi la sua personale “galleria dei sommi”.

Vuoi saperne di più? Scopri altri dettagli nascosti sulla vita di Leonardo da Vinci nel saggio di Maria Rosaria D’Uggento, disponibile in libreria, su Amazon o IBS, e segui la sua intervista nella prima puntata di Classic Drive Art!