Lo spirito delle idee: un mondo tra realtà e fantasia
Lo spirito delle idee: un mondo tra realtà e fantasia
Jessica Rigoli presenta il suo romanzo a Classic Drive Art

Chi, almeno una volta nella vita, non ha desiderato evadere dalla realtà? In fondo, il desiderio di “altro”, l’interrogativo verso l’ignoto è una delle cifre distintive della nostra specie. L’essere umano cerca, non si rassegna al contingente. «Ove tende / questo vagar mio breve, / il tuo corso immortale?» chiedeva Leopardi alla Luna. Ed è la stessa domanda di sempre, che è passata attraverso le religioni, la scienza, l’occultismo e la psiche di intere generazioni: che cosa c’è, oltre la realtà?
Se lo è chiesto anche Jessica Rigoli, giovane autrice emergente, di Lo spirito delle idee. Per rispondere alla domanda, lei ha scelto la via del self–publishing: il risultato è stato la pubblicazione di due fantasy che esplorano i confini tra realtà e fantasia.
«Sì, sembra quasi una contraddizione in termini perché quando parliamo di fantasy pensiamo sempre a un qualcosa di completamente fantastico, di completamente irreale. Invece nel mio romanzo ho voluto cercare di fondere sia il fantasy sia la realtà». Perciò niente elfi, nani e creature magiche nel suo romanzo. Lo spirito delle idee non è l’ultimo degli epigoni di Tolkien. La protagonista di Lo spirito delle idee viene catapultata in un mondo parallelo, dove vivrà appunto «un’avventura completamente fantastica».
Come racconta Jessica Rigoli a Classic Drive Art: «Il romanzo ha preso vita come una favola della buona notte per mia figlia Melissa» racconta. Difficile non pensare subito all’analogia con J.K. Rowling: i racconti che inventiamo per mettere a nanna i bambini sembrano essere terreno fertile per i fantasy. In questo caso, però, la protagonista è esistente, è reale, è proprio lei Melissa.
«Ho voluto creare una storia in cui lei si ritrovasse, in cui potesse trovare molti riferimenti della nostra vita».
Ad esempio, Mika e Paco, i due cani che, nel romanzo, finiscono con Melissa nel “Mondo Inverso”, nella realtà condividono la quotidianità tanto di Melissa quanto di Jessica. Anche molti scenari del cosiddetto “Mondo Dritto”, il primo esplorato da Melissa, hanno collegamenti con la realtà.
«Quindi nonostante possa sembrare, appunto, una contraddizione, c’è un forte mix, una forte unione tra il fantasy e la realtà, che rende sicuramente Lo spirito delle idee un romanzo adatto non solo ai bambini e ai ragazzi, ma anche agli adulti».
In fondo, è il sogno di ogni madre: creare un nuovo mondo per i loro figli, nel quale possano crescere, scoprire, esplorare con la sicurezza della fantasia. Jessica lo ha fatto davvero, con le parole. E con le immagini. Per questo, ha preso parte attiva nella selezione della copertina di Lo spirito delle idee: anche quella doveva essere su misura, come l’intero mondo consegnato nelle mani di Melissa.
«All’interno ho inserito tante illustrazioni, soprattutto all’inizio dei capitoli, così che anche il lettore più giovane possa essere invogliato alla lettura».
A partire dal secondo volume, è comparsa anche una mappa, vero must per ogni fantasy che si rispetti, un logo per la saga e uno per l’autrice stessa: «diciamo che ho cercato il più possibile di creare un rapporto diretto e di impatto con il lettore» dichiara Jessica Rigoli.
Immagini, parole e immaginazione: tutti ingredienti che, mescolati, hanno prodotto una risposta alla famigerata domanda: «Cosa c’è oltre la realtà?». Non possiamo sapere se quella de Lo spirito delle idee sia la risposta giusta, ma è indubbio che possa avere il suo fascino.
Valentina Baraldi
Guarda la seconda puntata di Classic Drive Art!

La sua è una passione nata durante l’infanzia, poi sviluppata sul lavoro, e che si è infine trasformata a sua volta in una professione. Oggi, Massimo Cervelli è fondatore e proprietario di
«Mi accorgo che ogni volta iniziamo insieme un viaggio ricco di ricordi, ricco di cultura» ha confidato a Classic Drive Art. «Ogni volta imparo qualcosa di nuovo e la cosa più importante è che mi accorgo che il valore degli oggetti che trattiamo e che cerchiamo è dato dalla verità, dall’autenticità delle persone che hanno contribuito alla loro nascita ma, soprattutto, alle emozioni che questi oggetti hanno suscitato nel tempo».

«Casale della Ioria è prima di tutto un’azienda agricola molto antica, che ha una storia antica», esordisce Marina. «La si ritrova persino descritta nelle mappe della zona del 1830, come un’unità di produzione dell’epoca». Casale della Ioria sopravvive da allora, ossia da quando le aziende agricole erano una vera e propria realtà autonoma, cuore pulsante di comunità autosufficiente che si procurava il vitto con diversi tipi di colture interne.
Oggi, però, Casale della Ioria è specializzata principalmente nella produzione del Torre del Piano, un Cesanese del Piglio D.O.C.G., Riserva Superiore 2018. Un vino che riassume nel suo nome e nel suo aroma una storia di lunga data: «il nome probabilmente si riferisce alle terre caese, dal latino ‘caedo’, dove si tagliavano i boschi, si piantavano i vigneti», spiega infatti Marina Perinelli. Con una maggioranza del 75% di vini bianchi prodotti in regione, il Cesanese che è l’unico rosso autoctono del Lazio. «È difficile descriverlo a chi non l’ha assaggiato», sottolinea Marina. È un rosso con una forte connotazione autoctona, «caratterizzato da questi frutti rossi e da un profumo di rose rosse vellutate, che invecchiando tira fuori delle note speziate».
L’idea nasce proprio dal territorio, ecco perché l’abbinamento con Cesanese di Perinelli è fondamentale, perché la carne viene preventivamente messa a maturare con la torba che abbiamo qui nei nostri boschi. In questo processo di maturazione c’è anche un lieve inizio di fermentazione che è quello poi che connota proprio i sapori del nostro territorio. Infatti questa carne, alla fine della maturazione, sa proprio di quello che è il territorio nostro, della Ciociaria. Sembra che quel vino abbia imbevuto quella terra e quella terra si sia nutrita di quel vino. Ecco perché l’abbinamento risulta eccellente.










Ancora oggi, i Cotarella sono al timone dell’azienda. Ma, per permettere la crescita della loro attività, hanno saputo circondarsi di personalità all’avanguardia nel campo del
Tradizione e innovazione, futuro e passato. Sono i due poli che si attraggono e si respingono nella formula di Famiglia Cotarella, che da un lato incarna una tradizione pluridecennale – «io con le mie sorelle siamo nate nel vino, abbiamo sempre respirato vino fin da bambine» ricorda
Il mix di tradizione e innovazione, inoltre, si imbottiglia ogni giorno in uno dei prodotti più caratteristici della cantina Famiglia Cotarella, il
«È un Merlot di grande corpo, di grande eleganza», conferma 

Quella che Maria Rosaria D’Uggento racconta a Classic Drive Art è la storia di una sedicenne orfana, sedotta e abbandonata dall’affascinante notaio Piero da Vinci, già promesso ad un’altra fanciulla di più agiate origini. Di lei non si sa più nulla fino al 1493, quando una fonte la colloca in casa del figlio, Leonardo, dopo essersi trasferita in seguito alla morte di marito che nel frattempo le era stato imposto. Morirà di malaria solo poco tempo dopo, e sarà proprio Leonardo a onorarla con un ricco funerale. Il saggio della D’Uggento ripercorre questa storia poco conosciuta con fedele minuzia documentaria, fino ad arrivare alla svolta. «Ultimamente, siccome Leonardo non smette mai di stupire, c’è stata un’interpretazione molto affascinante del Capasso, il quale ha scoperto nientemeno che delle impronte, delle ditate, sia su fogli dei Codici leonardeschi, sia su alcuni dipinti di Leonardo» svela Maria Rosaria D’Uggento alla telecamera di Classic Drive Art. Grazie all’ausilio di avanzatissimi strumenti dattiloscopici, si è stati in grado di evidenziare come tali impronte, soprattutto quella del polpastrello dell’indice della mano sinistra, avessero una conformazione tipica delle popolazioni mediorientali. E di potevano essere se non dell’unica altra inquilina di casa Da Vinci? «Quindi qual è la tesi? La tesi è che Caterina fosse una schiava mediorientale, quindi araba. Le schiave, in questo periodo, venivano importate da Istanbul ed andavano a servire, come serve domestiche, a Firenze, ma anche in Italia o in Spagna. Leonardo era figlio di una araba», conclude la saggista.